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Costituzionalisti pro green pass

Non Praevalebunt

Essere costretti a prendere due regionali invece che un treno ad alta velocità ha alcuni lati positivi. Fra questi non va trascurato l’avere il tempo sufficiente a leggere le argomentazioni che hanno portato diversi costituzionalisti a difendere la scelta del Governo di subordinare l’accesso a determinati luoghi al possesso del green pass. Non ho provato alcuno stupore nel sapere che fra questi risulta Roberto Bin, con un suo post pubblicato su laCostituzione.info pochi giorni dopo l’emanazione del d.l. 105 del 2021. Tralascio il paragone fra l’obbligo di green pass e il divieto di andare in giro nudi perché non voglio offendere né la mia intelligenza né quella del lettore. Mi limito a evidenziare che lo stimato Professore si chiede a cosa serva il green pass “se non protegge noi stessi, che siamo già immuni, e non protegge gli altri, visto che anche l’immune può essere portatore di virus”. La risposta è pronta: il certificato serve a far sì che accedano in determinati luoghi solo gli immunizzati. In altre parole, si tratterebbe di proteggere i non vaccinati dal contagio perché: “chi non è immune non dovrebbe poter accalcarsi con gli altri”. Capisco: aver dovuto prendere due regionali che si sono fermati in decine di diverse stazioni ferroviarie – mettendomi a contatto con centinaia, se non migliaia, di persone – invece di un treno ad alta velocità – che si sarebbe fermato solo in quattro di queste stazioni – è una misura che serve a tutelare me che non sono immunizzato. Per le stesse ragioni di tutela, pur non avendo il green pass, posso andare al ristorante e sedermi all’aperto insieme ad altre persone non immunizzate. In questo caso, tuttavia, la risposta all’apparente paradosso è semplice: il rischio di contagio all’aperto è prossimo allo zero. Giusto! Ecco spiegato perché senza green pass non posso andare allo stadio, partecipare ad una sagra o gustarmi un concerto in una piazza: si tratta di luoghi al chiuso. Lasciamo stare il fatto che io possa consumare un caffè al bancone di un bar – al chiuso! – pur non essendo immune. E mentre lo consumo, a pochi centimetri da me potrebbe essere seduto ad un tavolo un possessore di green pass vaccinato – immune, certo – che potrebbe, però, contagiarmi.

Qui si viene, poi, al nodo della questione. Il possessore di green pass è davvero immune, mentre chi ne è sprovvisto non lo è? A meno che non intendiamo immune nel senso letterale del termine – cioè non soggetto a determinati obblighi o servizi –, la risposta è no. O meglio, non è detto. Il vaccinato sviluppa anticorpi che garantiscono un certo grado di immunizzazione artificiale. Tuttavia, quanto questa immunizzazione duri nel tempo non è chiaro. Chi si è vaccinato a gennaio potrebbe non essere più immune. Al contrario, un non vaccinato potrebbe essere entrato in contatto con il virus e aver sviluppato, da asintomatico, un’immunizzazione naturale. E anche in questo caso non si sa quanto possa durare tale protezione. Se la funzione del green pass fosse quella di tutelare i non immunizzati, come sostiene il Professor Bin, dovrebbe essere rilasciato solo a seguito di tampone negativo – che attesta, con un certo grado di affidabilità, di non poter trasmettere il virus – oppure a seguito del test sierologico che misura la quantità di anticorpi sviluppati, da immunizzazione naturale o artificiale. Che chi abbia gli anticorpi sia comunque costretto a vaccinarsi, con grande stupore anche di alcuni dei medici specialisti che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi, dimostra che non è questa la funzione del green pass. A riprova di ciò, un emendamento in sede di conversione del d.l. 105 del 2021, che consentiva la possibilità di ottenere la certificazione anche per chi vanti un elevato numero di anticorpi, è stato respinto dalla maggioranza che si fregia di fare affidamento sulle evidenze scientifiche. La stessa maggioranza che ha deciso di prolungare la durata del green pass da vaccinazione prima da sei a nove mesi e, poi, da nove mesi a dodici. Evidenze scientifiche sulla durata annuale dell’immunizzazione artificiale? Nessuna.

La tesi per cui il green pass avrebbe lo scopo di ridurre la possibilità che i non immuni si contagino è, in effetti, talmente debole che non viene fatta propria da altri studiosi. Il Professor Vigevani e l’avvocato Carlo Melzi d’Eril lapidano la questione con un articolo sul Sole 24 Ore dal titolo inequivocabile: “Ecco perché il green pass è costituzionale e può limitare alcune libertà”. Va apprezzato il fatto che entrambi respingono l’idea per cui il certificato debba essere considerato “una sorta di giusta punizione per i reprobi che si sono sottratti al dovere etico di vaccinarsi”. Nel corso dell’articolo aggiungono che “la legge può limitare, senza comprimerla del tutto, la libertà di movimento e di riunione di chi, potendo vaccinarsi, non l’ha fatto per sua libera scelta, contro l’opinione della comunità scientifica”. Descritto in questi termini, tuttavia, il green pass sembra proprio una misura punitiva. Comunque sia, Vigevani e Melzi d’Eril sono categorici: “non vediamo difficoltà a che il Parlamento introduca limitazioni per chi avrebbe potuto vaccinarsi e ha scelto di non farlo”. Va bene: la posizione è chiara, ma qual è la motivazione razionale in base a tale assunto? Mi sfugge. È forse “per evitare la diffusione di focolai”? Ciò potrebbe, forse, essere giustificabile per un green pass rilasciato esclusivamente a seguito di tampone negativo. Lo spiegava bene il Professor Bin: la vaccinazione non previene il contagio, tant’è che tutti siamo in ogni caso chiamati a rispettare le basilari misure di sicurezza che conosciamo. Pertanto, l’accesso a determinati luoghi solo a chi è munito di certificato – specialmente se derivante da vaccinazione – non può avere come motivazione razionale la prevenzione di focolai. Lo conferma persino un altro degli specialisti che abbiamo imparato a conoscere: descrivere i luoghi cui possono accedere solo i vaccinati e chi abbia fatto un tampone negativo come sicuri è pericoloso.

Allora, forse, la razionale motivazione alla base del green pass sarebbe “consentire alle persone che non possono usufruire del vaccino per ragioni di salute […] di esercitare quei diritti che altrimenti sarebbero loro preclusi”. Quali categorie sarebbero escluse dalla vaccinazione? Gli immunocompromessi? Sono stati i primi ad essere vaccinati e saranno i primi a ricevere la terza dose, almeno secondo le parole di Figliolo. Allora le donne in stato di gravidanza? Non risultano limitazioni in tal senso. Anzi, l’Aogoi ha invitato il Governo ad inserire le donne in stato di gravidanza fra i soggetti fragili, per i quali la vaccinazione è caldamente consigliata. Ad oggi non è ancora stato chiarito chi sia categoricamente escluso dalla vaccinazione, tant’è che ottenere l’esenzione sembra impresa impossibile. E, in ogni caso, dato che la vaccinazione non impedisce il contagio come potremmo davvero tutelare le persone che non possono usufruire del vaccino per ragioni di salute? Per fortuna, il duo stigmatizza chi arriva a paventare l’esclusione dal servizio sanitario nazionale per chi rifiuta la vaccinazione – come ha proposto un altro esimio costituzionalista, Alfonso Celotto. Ne sono sollevato. Peccato che, poco più di un mese dopo, il duo arrivi a paventare la possibilità di escludere dall’accesso al supermercato chi non abbia il certificato. Evidentemente, gli illustri preferiscono “vivere in un Paese che si prende cura di fumatori obesi, appassionati di sport estremi e aspiranti suicidi”, ma non si farebbero problemi a vivere in un Paese che impedisce l’accesso ai beni alimentari a chi non si sottopone a un trattamento sanitario, vaccino o tampone che sia.

Più articolata – finalmente! – la posizione della Professoressa Poggi, nel suo editoriale del numero più recente della rivista Federalismi. Secondo la Professoressa va rigettata la tesi per cui il green pass sarebbe assimilabile all’obbligo vaccinale. Nota, infatti, che è sempre possibile ottenerlo tramite tampone. Ma certo! In un Paese in cui il reddito medio mensile delle famiglie si attestava nel 2019 a 2143 euro, due genitori dovrebbero spendere almeno 195 euro a testa per poter recarsi a lavoro e, magari, almeno altri 208 per consentire al figlio di continuare a fare basket e non negare la pallavolo alla figlia . Totale: 598 euro in meno ogni mese che prima potevano essere destinati al pagamento del mutuo o dell’affitto, delle bollette e della spesa in generi alimentari. È vero che riguardo quest’ultimo problema la soluzione è stata data dagli ottimi Vigevani e Melzi d’Eril: vietiamo ai non vaccinati l’accesso al supermercato, così avranno molto più denaro da destinare ai tamponi! No, lo escludo. Il green pass non può certo assimilarsi ad un obbligo vaccinale surrettizio. Non scherziamo! E lasciamo perdere il fatto che già oggi diventa sempre più difficile riuscire a prenotare un tampone e che verosimilmente diventerà quasi impossibile quando diversi milioni di lavoratori saranno costretti a sottoporvisi ogni due giorni. E lasciamo anche perdere il fatto che il tampone nasale sia oltremodo invasivo e molto spesso doloroso e che sia quasi impossibile trovare tamponi salivari: il non vaccinato, si sa, deve soffrire. La libertà ha un prezzo!

Non si può neppure dire seriamente che il green pass impedisca l’esercizio di diritti fondamentali. Piuttosto li condiziona: “Certo in questo caso si tratta di condizionamenti pesanti, ma le circostanze pandemiche che ci troviamo ad affrontare sono del tutto eccezionali e non possono costituire un’unità di misura ordinaria”. Ah ecco. Sì, sono condizionamenti molto pesanti, ma c’è la pandemia. Siamo in stato di emergenza! Mi permetto di dare un consiglio ai tanti – troppi – costituzionalisti che, in questi diciotto mesi, si sono affrettati a giustificare qualsiasi misura governativa in nome dell’emergenza. Affermare che l’emergenza possa arrivare a giustificare “condizionamenti pesanti” dei diritti fondamentali – condizionamenti che “non possono costituire un’unità di misura ordinaria” – significa ammettere implicitamente che la Costituzione può essere accantonata ogni qual volta una maggioranza di Governo decida che siamo in uno stato di emergenza. Perché sono le maggioranze di Governo a deciderlo: non esiste un parametro oggettivo che consenta di considerare un determinato evento un’emergenza oppure no. In altre parole, troppi costituzionalisti hanno fatto intendere che ciò che insegnano è superfluo. Un fastidioso orpello che può essere accantonato alla minima difficoltà. Il che porta ad una domanda legittima: per quale motivo dovremmo stipendiare un numero così grande di docenti e ricercatori se insegnano qualcosa di superfluo? Va doverosamente aggiunto che la Poggi ammette “che sarebbe preoccupante (e questa volta al limite dell’incostituzionalità) che il sistema del green pass proseguisse oltre lo stato di emergenza, per ora prorogato al 31 dicembre 2021. Come sempre gli strumenti eccezionali hanno senso e copertura costituzionale nella misura in cui sono temporanei”. Il che mi rimanda nostalgicamente alle due settimane che sarebbero state sufficienti ad abbattere la curva dei contagi e consentirci di tornare alla normalità a fine marzo del 2020. Certo, le misure restrittive devono essere necessariamente temporanee in quanto connesse alla fase emergenziale. Quanto tale fase debba o possa durare non è dato sapere, ma è solo un piccolo particolare. La Poggi collega la fine dell’emergenza al raggiungimento dell’immunità di gregge. Come sia possibile raggiungere l’immunità di gregge attraverso un vaccino non sterilizzante è un altro piccolo particolare privo di importanza.

Ma tralasciamo questi particolari e torniamo alla domanda iniziale. Esiste una motivazione razionale in base a cui l’accesso a determinati luoghi dovrebbe essere subordinato al possesso di un certificato? Secondo la Professoressa “si potrebbe affermare, senza provocazione alcuna, che lo strumento del green pass costituisce attuazione corretta del principio di uguaglianza, proprio in quanto opera trattamenti differenziati in presenza di situazioni di fatto diverse”. E va bene, ma in base a che cosa sono giustificati tali trattamenti differenziati? In altre parole, quali sono le situazioni di fatto diverse? Anche in questo editoriale è difficile individuare la risposta a queste domande. Mi sembra solo di capire che, secondo quanto afferma la Poggi, il green pass è lo strumento individuato dal Governo per dare nuova forza alla campagna vaccinale. Tuttavia, qui risiede il problema. Se è questa – e solo questa – la ragione per cui è stato istituito il certificato saremmo di fronte ad una misura che non costituisce affatto una corretta attuazione del principio di uguaglianza. Il certificato sarebbe una misura razionale – che tratta in modo diverso situazioni di fatto diverse – se davvero potesse garantire l’accesso a luoghi in cui non ci si può contagiare, come ha falsamente affermato il nostro Presidente del Consiglio, oppure se servisse a tutelare i non immuni, come ha sostenuto il Professor Bin. Lascio perdere coloro che affermano che il green pass sia necessario a tutelare i vaccinati dai non vaccinati, i quali evidentemente non sono abbastanza intelligenti da capire che tale assunto postula scarsa fiducia nell’immunizzazione derivante dalla vaccinazione. Il che – inutile ignorare i dati che vengono da altri Paesi – potrebbe anche essere vero, ma allora, a maggior ragione, quale sarebbe il senso di subordinare il godimento di gran parte dei diritti fondamentali ad un trattamento sanitario non così efficace?

Occorre ripetersi. Il vaccino fornisce un’immunizzazione la cui durata è sconosciuta, così come la guarigione. Un vaccinato può aver perso qualsiasi tutela immunitaria, mentre un non vaccinato avere una forte risposta anticorporale. E in ogni caso, ciascuno di noi è potenzialmente infetto. Stupisce che un Paese che abbia basato tutta la sua gestione dell’epidemia sull’azzeramento del rischio ignori tale assunto. Solo un tampone negativo può dare la garanzia di non essere contagiosi – al netto di qualsiasi discorso che si potrebbe fare sull’affidabilità dei tamponi. Ne consegue che un green pass che davvero costituisca una corretta applicazione del principio di uguaglianza dovrebbe essere rilasciato solamente a seguito di tampone negativo. Ma possiamo davvero subordinare il godimento di tutti i nostri diritti costituzionali ad un test diagnostico invasivo e continuato? Possiamo davvero dire a chi si è vaccinato che non è servito a nulla? Non sarebbe meglio smettere di vivere in un’emergenza perenne, intervallata da pochi mesi di normalità estiva? Non sarebbe meglio smettere di vivere nel terrore e accettare il fatto che non possiamo pretendere dagli individui che ci circondano di essere responsabili della nostra salute? Non possiamo smettere di pretendere che chi meno ha da temere in termini di incolumità fisica – i giovani – siano chiamati a pagare il prezzo più alto, perché crediamo, sepolti nel nostro terrore senile, che debbano essere responsabili della salute di tutti?

Una postilla: so che altri studiosi si sono preoccupati di legittimare l’introduzione del green pass. Non credo possano trovare spazio in questo breve lavoro polemico. Alcuni, infatti, come Patroni Griffi su Milano Finanza, si limitano a ribadire che si possono limitare le libertà individuali in nome dell’interesse generale. Tante grazie! Zagrebelski, in piena continuità con la sua storia accademica, lancia anatemi contro i colleghi che sobillano i novax, ma poi preferisce non rispondere alle domande. Ruggeri, su Giustizia Insieme, arriva a chiedere a gran voce l’obbligo vaccinale globale altrimenti l’umanità andrebbe incontro all’estinzione. E dire che nello stesso articolo premette di essere giunto a tale conclusione dopo tormentate riflessioni. CPertanto, il lettore potrà senz’altro comprendere la mia scelta di non procedere oltre.

2 commenti su “Costituzionalisti pro green pass”

  1. “Spes ultima dea”.
    Il Caso Paolo Ferraro, la Grandediscovery e gli accadimenti durante la presa di potere della cordata deviata romana. UDIENZE CONCLUSIVE dinanzi al Consiglio di Stato del 18/11/2021 sulla coattiva aspettativa del 2011 e sulla dispensa definitiva del 2012. PAOLO FERRARO https://www.paoloferraro.it/F/K/TAR_CDS/IL%20CASO%20PAOLO%20FERRARO%20%20%20PORTATO%20AL%20TAR%20ED%20AL%20%20CONSIGLIO%20DI%20STATO.html?fbclid=IwAR2Z7iHKk6bOvgjmMZUKwYoqMmLusffyCwiHy2xYxHID7INrgvZibZzFCCU

  2. Eccellente riflessione che aggiornata ad oggi prende ancora più forza, soprattutto in merito a dubbi che oggi si avvicinano a certezze (vedi durata protezione)

    se poi aggiungiamo che comincia a trapelare anche dai media di sistema il fatto che i numeri su cui si basa questa emergenza infinita sono taroccati da:

    – tamponi altamente sensibili e utilizzati impropriamente
    – per il punto di cui sopra i casi covid19 comprendono persone che sono giunti in ospedale per altre motivazioni, tant’è che solo ora si pongono il problema di ricontare correttamente

    vogliamo parlare del CDC e della FDA americani che sembra abbiano dichiarato non attendibili i tamponi utilizzati sino ad ora per una sensibilità crociata con altri virus di tipo influenzale?

    chissà perché Vaia dello Spallanzani ad Agosto 2020 dichiarò che stava lavorando ad un tampone che potesse proprio distinguere l’influenza virale dal sars-cov2 e che nel suo ottimismo sperava fosse pronto per ottobre 2020…ovviamente mai andato a regime

    quello che stimo vivendo di razionale non ha nulla almeno se si vuole rimanere nell’ambito delle motivazioni ufficiali e questi (c)ostituzionalisti non sono altro che dei lacché del potere
    la storia si ricorderà anche di loro.

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