
Di Marco Zuccaro:
Condizioni per la pace in Ucraina:
riconoscimento internazionale a vantaggio della Federazione Russa delle aree recentemente annesse e della Crimea; disarmo dell’Ucraina. Il riconoscimento potrà avvenire anche con nuovo iter politico, per il tramite di referendum da eseguirsi sotto tutela dell’ONU.
Motivi di complicazione:
la Federazione Russia potrebbe voler rifiutare l’indizione di nuovi referendum sui territori annessi;
la persistenza di una ferma opposizione del governo ucraino manipolato dagli occidentali, sia in merito al riconoscimento delle zone contese – ciò che determina il rifiuto, da parte di Kiev, di ricorrere a nuova consultazione referendaria -, sia sulla possibilità di un disarmo.
Possibili soluzioni:
assassinio o imprigionamento di Zelensky, ovvero destituzione pacifica del governo ucraino.
Modalità di attuazione:
1) necessità di infiltrare o corrompere i servizi segreti occidentali, gli ufficiali della Nato e le milizie ucraine; pianificazione oculata, intervento speciale;
2) corruzione del corpo politico ucraino e destituzione non violenta del governo guidato da Zelensky.
Rischi:
per (2), la lentezza della procedura, che risulta tanto più complicata quanto più alto sia il numero di collaboratori necessari al buon esito del piano. Per (1), la percentuale di rischio ulteriore è legata alle difficoltà di messa in atto dell’operazione speciale, ma va tenuto conto che tale operazione può essere reiterata per un numero indefinito di volte (s’io fossi in Zelensky, non chiuderei occhio).
Condizioni di fattibilità:
sia (1) che (2) necessitano del cambiamento della linea politica dei manipolatori del governo Zelensky.
Considerazioni:
le tensioni scatenàtesi in diversi Stati in questo periodo complicano lo scenario internazionale, allontanano la possibilità che le parti in conflitto smentiscano la linea politica e militare tenuta sino a questo momento, e rendono ancor più strettamente necessaria l’interruzione della manipolazione attualmente operata sul governo ucraino. Impossibile anche solo immaginare un cambio dirigenziale in Russia. Accadranno nel prossimo futuro due eventi politici rilevanti per gli equilibri geopolitici mondiali: il ballottaggio tra Bolsonaro e Lula, in Brasile, in data 30 ottobre; le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, valevoli per il Congresso, in data 8 novembre. In seguito a quest’ultima occasione lo stato profondo di Washington potrebbe voler cercare una collaborazione con una Camera dei Rappresentanti, e forse finanche con un Senato passati sotto il controllo dei Repubblicani. Il già debole profilo politico di Biden ne risulterebbe ancor più compromesso.
Il quadro della situazione suggerisce alla Russia di consolidare le proprie posizioni militari in attesa dei risultati dell’8 novembre e degli effetti che seguiranno l’aggravamento netto delle condizioni economiche e sociali delle popolazioni europee. L’inizio dell’inverno, come sempre, viene a noi per favorire la Russia, poiché sarà confermato che a una polizia debole corrisponde un esercito forte, e viceversa. La disperazione, la povertà e la fame cercheranno una via di sbocco nella piazza, il che imporrà di guidare la mobilitazione generale verso il cuore del nostro nemico: Roma.
Ad ogni modo, le guerra sta addentrandosi in una fase nuova, per la quale si registrano: in primo luogo l’annessione formale alla Federazione Russa dei territori di Cherson, Donetsk, Lugansk e Zaporizhzhia; in secondo luogo la crescita delle tensioni in vari Paesi del mondo, nonché l’aumento delle sofferenze per le popolazioni europee; infine, in terzo luogo, l’impossibilità di dire che l’alleanza del patto atlantica sia più solida e compatta che mai. La stessa Unione Europea, con i suoi tentativi di salvare le apparenze, non è mai stata così ridicola come ora.
Per i rilievi di cui sopra è comprensibile che l’amministrazione Biden stia compiendo in queste ore il suo massimo sforzo, poiché i suoi dirigenti sanno benissimo che il profilo politico di Putin risulterà tanto più indebolito quanto più egli sopporterà che si procurino morte e devastazione su territori divenuti ufficialmente russi. Benché taluni aspetti suggeriscono la strategia attendista, i russi potrebbero voler dichiarare, nelle prossime ore, un ultimatum per la riapertura dei negoziati. È nell’interesse personale di Vladimir Putin che la Federazione Russa accresca l’incisività della propria risposta bellica e adempia così alla sua promessa di tutela nei confronti delle popolazioni del Donbass e degli altri territori in guerra. Non solo: non si dimentichi che la Russia necessita del disarmo dello Stato ucraino, il che costituisce un invito costante ad alzare i toni della voce, della penna e degli scontri; perché una Ucraina disarmare la si ottiene assai più facilmente quando si radono al suolo la città di Kiev e le postazioni militari occidentali presenti all’interno del Paese.
Quale che sia la forma del suo concretizzarsi, il cambiamento della linea politica adottata dalle dirigenze dell’Ovest si presenta quantomai impellente. Poiché Putin non può essere destituito, diversi governi occidentali cadranno. L’esecutivo Meloni potrebbe avere vita breve, e forse molto breve.
Partiti e movimenti della residenza siano pronti a raccogliere e catalizzare la rabbia e il processo dei moti popolari. Nuovamente occorrerà fare in modo che la polizia sia forte: ciò che farà debole l’esercito, come da lezione gramsciana.
Le probabilità che questa guerra tramuti in conflitto nucleare su scala globale sono, a parer mio, pari a zero.
N. B. Occorre valutare la necessità di confrontarsi con taluni ambienti sionisti, e altresì occorre valutare la necessità di eliminare fisicamente i loro esponenti.